« Indietro

ACINI DI STORIA: DOLCETTO DI OVADA

(da www.fortidelvento.com)

Il periodo migliore per la viticoltura Ovadese sembra andare dai primi del 1800 agli inizi del 1900, quando la viticoltura diventa la coltura predominante dell'area.

Il motivo appare l'aumento della popolazione: dal 1806 al 1901 la popolazione passò da circa 4.500 a circa 12.300 abitanti solo per il comune di Ovada, e da 22.000 abitanti circa a 42.300 abitanti circa per quanto concerne i comuni limitrofi; una crescita a dir poco impressionante che portò ad uno squilibrio nel rapporto tra popolazione e risorse e pose la necessità di mettere a coltura nuovi terreni prima lasciati incolti per avere il reddito necessario a sopravvivere.

In parallelo c'era una forte disgregazione delle grosse proprietà nobiliari genovesi e la vendita di parte del patrimonio ecclesiastico demaniale a favore della piccola proprietà coltivatrice.

Le piccole imprese familiari ben si coniugavano con la viticoltura, che specialmente a quei tempi richiedeva un uso importante della manodopera, complice anche la non facile conformazione del territorio.

 Si narra di una produzione di 80 mila barili, di cui 25 mila mandati in Liguria e tolto il consumo locale il resto andava in Lombardia. - Magari si potesse esaurire la produzione in un raggio così limitato anche oggi! C'era talmente tanta vigna che c'era persino preoccupazione per quanto si era sviluppato il vigneto a discapito delle altre colture.

 Nonostante la quantità dell'epoca fossero impressionanti (circa 55 mila quintali nel 1908 contro i circa 34 mila del 2010 ) non si parla solo di quantità, ma anche di qualità, che è uno degli elementi di spicco per l'Ovadese della viticoltura del tempo, che non pareva soffrire affatto dell'importanza degli altri territori piemontesi.

 Incredibili le somiglianze anche con la storia di oggi, a fine ottocento in particolare si narra dell'incedere della peronospora e dell'oidio (oggi abbiamo la Flavescenza Dorata) e della concorrenza dei vini meridionali.

A fianco dell'aumento della superficie vitata si stava sviluppando un altro fenomeno: Ovada e più in generale l'Ovadese si stavano rapidamente caratterizzando come un'area di esclusiva produzione di Dolcetto. Il Dolcetto oggi lo conosciamo, ma già allora si parlava di vitigno delicato, che maturava precocemente rispetto agli altri vitigni piemontesi che bene si adattava alle più alte colline dell'Ovadese.

 La diffusione del Dolcetto sembra avvenire nella prima metà dell'ottocento in quasi tutti i colli delle Langhe e del Monferrato – pare fosse noto ai genovesi come "Uva del Monferrato"- con un estensione da Mondovì ad Acqui Terme e sino anche a Novi Ligure, trovando terra di elezione proprio nell'Ovadese proprio grazie al microclima che caratterizza questa zona.

 Si narra che in alcune zone prendesse il nome di Nebbiolo, mentre nel Lombardo veneto fosse conosciuto come "Uva di Ovada" o "Uve di Rocca Grimalda", arrivando già nel 1817 ad una buona notorietà.

I vignaioli come conseguenza del buon andamento delle vendite estesero le proprie coltivazioni ben oltre le zone vocate: in questo caso il parallelismo è perfettamente attuale, la storia odierna di altri distretti produttivi, infatti, insegna che c'è forte resistenza alla chiusura degli impianti quando una DOC cresce, fino a quando ormai è troppo tardi….

 Alla luce dei primi cali del mercato i rimedi che furono posti in essere sono sintetizzabili in tre punti:

-        il miglioramento dei sistemi di viticoltura e vinificazione

-        lo sviluppo di industrie che diano stabile e proficuo lavoro agli operai (e questo rimedio è chiaramente esterno all'agricoltura, sebbene miri allo sviluppo di industrie nel settore)

-        l'attivazione di mercati che agevolino gli scambi.

 Pare proprio che la diminuzione dei volumi di vino consumato fosse la conseguenza di un cambiamento della società di allora, che richiedeva di ampliare sempre di più il raggio dei mercati di sbocco per mantenere adeguati volumi di vendita. E anche qui pensare che stiamo parlando di un fenomeno che accadeva quasi 100 anni fa decisamente riflettere.

 L'introduzione delle ferrovie (1894) è vissuta con favore: entrano in funzione, le linee ferroviarie Genova – Ovada – Asti (che copre con frequenza la tratta fino ad Acqui Terme e oggi impiega ancora un'ora per fare 45 km!) e la tramvia Ovada – Novi (che è rimasta tale, nessun treno oggi porta da Ovada a Novi): si pensava che queste infrastrutture aprissero gli sbocchi verso gli importanti mercati di consumo.

Due fenomeni caratterizzano la viticoltura del periodo: 1) un nuovo aumento della superficie vitata, che arriva al picco poco prima della prima guerra mondiale, e 2) l'invasione della filossera.

1) Nella provincia di Alessandria nel primo decennio il vigneto del 900 il vigneto, sommando coltura promiscua a coltura specializzata, raggiunse i 180.000 ettari, per una produzione di uva di circa 3.820.000 quintali. Per capire quanto fosse importante la produzione d'Uva per la zona, oltre che fare un paragone numerico con i giorni nostri basta un semplice dato: la vigna rappresentava circa il 55% della superficie coltivata della zona!

 E nella concentrazione produttiva e quantitativa non mancavano considerazioni sulla qualità del prodotto, che – e in questo assaggiando tanti dolcetti sparsi per il Piemonte concordo e, soprattutto, sono pronto a dimostrarlo anche oggi – in degustazione aggiunge a fianco della morbidezza una vigoria e una fragranza che si trovano solo nei dolcetti coltivati in quest'area del Piemonte, l'Ovadese.

2) La filossera invece vide una doppia ondata di propagazione, la prima nei primi dieci anni del 900 e la seconda tra l'inizio della prima guerra mondiale e l'inizio degli anni venti, quest'ultima con una recrudescenza sui vigneti davvero impressionante.

Fortunatamente allora si poteva parlare di alti prezzi dell'uva, al punto da giustificare e parzialmente compensare la graduale riduzione del prodotto!

La grande presenza di manodopera favorì la ricostruzione dei vigneti, che andavano ricostruiti con innesto su piede americano.

A valle di questa epidemia la struttura dei vigneti Ovadesi si razionalizzo, andando verso impianti più razionali e moderni. Parallelamente si ebbe una marcata riduzione della superficie vitata che arrivò a circa 7.440 ettari specializzata (cui vanno aggiunti 1.200 circa di promiscua).

Nel 1929 ha inizio di un momento difficile per l'intera economia mondiale. La zona dell'Ovadese era sempre la punta di diamante della produzione viticola della provincia, sebbene ormai ridimensionata rispetto al boom dei primi del 900. Purtroppo però incominciano ad essere introdotti vitigni diversi dal Dolcetto, come Barbera prima e più marcatamente Cortese successivamente.

A tutto questo si affiancò (forse si potrebbe dire "consegue") una forte riduzione della popolazione che passò dai 42.300 abitanti circa di fine ottocento a 34.600 abitanti circa per l'Ovadese (da 12.300 a 9.600 per il comune di Ovada), venendo a ridursi una delle principali fonti di reddito, ovvero la coltivazione d'uva, sebbene rimanessero circa il 66% del totale i lavoratori del settore primario.

Nel secondo dopoguerra l'Ovadese subisce delle profonde trasformazioni, sia per una modifica dell'ambiente economico generale che per la diminuzione di importanza del settore primario; continua la riduzione della popolazione, che arriva nel 1981 a 14.600 abitanti circa per l'Ovadese – al netto di Ovada - (ricordiamo che aveva registrato un picco a 42.300 agli inizi del novecento) che verosimilmente si sposta verso i centri abitati più importanti, tra i quali Ovada che vede salire la sua popolazione a 12.700 abitanti.

A fronte di quest'esodo si registra una parallela riduzione dei lavoratori in agricoltura, che diventano il 19 per cento circa del totale nel 1981 (guardando solo al comune di Ovada si passa dal 22,5% del 1951 al 5,5% del 1981) a fronte del 55,7% del 1951: una variazione impressionante in soli trenta anni.

Proprio in quel periodo prende campo, con specifico riferimento al comune di Ovada, il settore terziario e si sviluppano molte delle industrie che lavorano ancora oggi, mentre nelle campagne circostanti si verifica l'abbandono di centinaia di ettari di terreno, che rimangono gestiti da una popolazione che, tra l'altro, invecchia.

Si verificarono nuovi e molteplici passaggi di proprietà come nel corso dell'800, ma non si risolse il problema della frammentazione della struttura fondiaria, anzi in un mercato che già allora stava diventando rapidamente geograficamente più ampio e più concorrenziale la situazione non faceva altro che peggiorare, con un aumento della forbice tra i prezzi industriali e gli alti costi di produzione che caratterizzano (ancora oggi) le piccole aziende, difficili da meccanizzare.

Molti piccoli che non riuscendo ad organizzarsi in modo efficace inoltre non potevano (e non possono) influenzare il prezzo, difficilmente possono permettersi di commercializzare nell'ampio raggio – in costante aumento – che richiede il mercato: questo il problema si trascina sino ai giorni nostri.

Pur potendo vantare un prodotto interessante anzi, come Dolcetto molto interessante, che se ben vinificato sa essere allo stesso tempo fragrante, longevo equilibrato e di struttura, la zona Ovadese oggi ha bisogno di organizzarsi in modo efficace per:

-         portare avanti una promozione coesa del prodotto

-        per farne comprenderne le caratteristiche al pubblico che non lo conosce

-        per permettere alla zona una crescita che elimini la tendenza ad abbandonare le nostre splendide campagne.

 

Questo articolo è stato reso disponibile da Forti del Vento, produttori di vino in Ovada. 

Per maggiori informazioni visionare il sito www.fortidelvento.com oppure richiederle via mail a info@fortidelvento.com