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"FAMOSO": VITIGNO AUTOCTONO DI ROMAGNA CON IL FUTURO DA PROTAGONISTA

Siamo in Romagna, in una terra dove la vite si è adattata tanto in collina quanto in pianura creando coltivazioni dai caratteri ben definiti e dove l'ampelografia è stata segnata nell'ultimo ventennio dal massiccio impianto di vitigni internazionali a scapito delle varietà autoctone.

 Attualmente però si sta verificando un cambiamento di rotta ed i produttori di queste terre, in un momento molto difficile per l'economia del vino, stanno prestando grande attenzione ai vitigni "locali" con lo scopo di ottenere prodotti sempre più competitivi nel mercato globale: si deve intrigare il consumatore con caratteristiche gusto-olfattive tipiche ed irripetibili, puntare sul costante allargamento della qualità e pubblicizzare i successi ottenuti.

 Inoltre è ormai diffusa, negli ambiti più sensibili della viticoltura e dell'enologia, la consapevolezza che la perdita progressiva dei vitigni autoctoni sia un enorme spreco del patrimonio varietale e colturale: è necessario sfruttare la peculiarità del prodotto, la diversificazione del territorio e, in questo momento, questa sembra una strategia commerciale vincente. La strada è far si che ogni territorio riesca ad esprimere la sua identità.

 Bella questa parola! Identità.

 Sì, perché un vitigno autoctono è capace di "raccontare" il suo territorio, la storia delle terre su cui si è adattato, segnato dall'impronta delle persone che lo hanno allevato, della comunità che ha creduto in lui: identità varietale su identità territoriale.

 Ma il vitigno va capito, vanno studiati i cloni e di conseguenza i sistemi di allevamento per ovviare ai problemi che sorgono; una uva autoctona è una grande risorsa, una fonte di biodiversità, però bisogna selezionarla bene.

I vitigni internazionali sono sempre uguali, sono stati studiati e capiti ed è più facile "prenderne le misure".

 Se proviamo ad immaginare come, applicando sistemi e conoscenze moderni, possa essere possibile interpretali e valorizzarli, ci rendiamo conto di quanto il lavoro del futuro possa diventare una interessantissima sfida che rompa la monotonia dei "vellutati alla francese".

 Ogni provincia ha vitigni esclusivi e peculiari, che forse è più corretto chiamare vitigni di antico insediamento e stanno diventando sempre più importanti per valorizzare i diversi areali viticoli, in quanto si tratta di varietà storiche e come tali sono parte integrante del tessuto culturale di determinati ambienti.

 Quindi, accanto agli "assi" dell'enologia regionale, vicino al Trebbiano e allo Chardonnay, al Merlot e al Sauvignon, al Sangiovese e all'Albana, non bisogna dimenticare una serie di piccole produzioni (piccole non per qualità ma per estensione, per numero di produttori o solo per essere poco conosciute) che tuttavia mettono in bottiglia vini originali frutto della tradizione e di un profondo rapporto con la propria terra, vitigni dimenticati, ma "residenti" in Romagna da tempi immemori.

 Nomi dialettali curiosissimi, che raccontano prodotti con caratteristiche uniche: l'Uva Longanesi (il Burson), il Lanzesa, l'Uva ad Tundè, il Pagadebit, la Canina Nera, il Centesimino (chiamato anche Savignon Rosso o Savignone), il Malbo Gentile… e il Famoso.

 

Sul fronte dei rossi, il Burson ha decisamente visto nettissimi miglioramenti negli ultimi anni e la sua "fama" ha addirittura oltrepassato i confini europei (attualmente viene commercializzato in Giappone e in America).

 Per quanto riguarda i bianchi, ho di recente scoperto con grande sorpresa un ottimo vino del quale mi sono innamorata, un grande prodotto che, se riceverà l'attenzione che merita, sono certa possa avere successo.

 Sto parlando del prodotto della vinificazione dell'uva Famoso, che in Romagna era chiamato, nel decenni scorsi, "Uva Rambela"; abbandonato forse per l'intensità dei profumi, non adatto ad una enologia che richiedeva un prodotto più "anonimo" (come quello ottenuto dal Trebbiano").

 È una pianta molto rustica, che riesce a crescere su ogni tipo di terreno: predilige addirittura substrati poco fertili purchè ben drenati.

 Ama i luoghi ben soleggiati e resiste a temperature invernali anche abbastanza rigide.

 È presente in Romagna almeno dal 1800 ed attualmente è coltivato nelle zone di Forlì, Faenza, Ravenna e Bagnacavallo; può produrre vini di diversa tipologia, dal fermo al frizzante, ma tutti caratterizzati da notevole intensità di aromi.

 I vini presentano un quadro olfattivo molto intenso che ricorda il vino Moscato, con note floreali dolci, di frutta esotica, di drupa matura e frutta essiccata. Al gusto mostrano acidità media, buona morbidezza e struttura. Si abbina ad antipasti di pesce e a formaggi freschi.

 

Articolo di Giorgia Lagosti pubblicato su www.ilmondodelgusto.it