IL VINO NELL'ANTICA GRECIA

Del vino nell'antica Grecia possiamo averne una visione più precisa se ci soffermiamo ad analizzare le parole di due personaggi, due grandi poeti o meglio ancora i primi due grandi poeti: Omero ed Esiodo di Ascra.

Soprattutto grazie ad Omero abbiamo importanti informazioni riguardanti l'utilizzo e l'importanza del vino nell'Antica Grecia per quanto scritto tra le pagine dell'Odissea. Grazie agli scritti di Omero possiamo con certezza risalire alle abitudini alimentari dei greci di quell'epoca. Sappiamo che avevano una precisa divisione dei pasti durante tutto l'arco della giornata, precisamente sappiamo che i pasti durante tutto il giorno erano tre:

-        l'ariston, consumato di primo mattino dove erano presenti sulla tavola pane e vino: "Eumeo servendo sul tagliere le carni arrosto avanzate dalla sera, si affrettò ad ammucchiare nelle ceste il pane di frumento ed a mescere nella coppa un vino profumato di miele." (Odissea XVI, 48-50)

-        il deiphon, che corrisponde al pranzo

-        il dorpon ovvero la cena

Come ovvio era in questi ultimi due pasti che avveniva il principale consumo della bevanda.

La presenza del vino nelle mense della Grecia Antica era simbolo di prestigio sociale siccome la produzione e la lavorazione del prodotto richiedeva terreni e materiali di costo elevato.

Possiamo quindi parlare della Grecia Antica come la prima vera grande terra del vino.

Fu a partire dal 600 a.C. che iniziarono le esportazioni del vino greco attraverso il mediterraneo fino in Gallia dove i coloni greci avevano fondato Marsiglia. Successivamente la bevanda venne esportata, grazie alle successive colonizzazioni anche verso il Mar Nero, l'Anatolia, le coste Africane e nelle terre occidentali raggiungibili per mare dal territorio greco.

Da come possiamo leggere nelle opere letterarie dell'epoca, il territorio greco con la sua diversità di microclimi possedeva diverse zone dove era presente una florida viticoltura. Ogni zona era caratterizzata dalla produzione uve e vini con diverse caratteristiche.

Quando Omero racconta delle città d'origine dei capi degli Achei – Arne, Istriea e Epidauro - e ne descrive gli svariati pregi, non trascura tra questi la presenza di viti rigogliose e traccia così qualche linea del quadro geografico della distribuzione dei vigneti: "Arne dai molti grappoli d'uva...Istiea ricca di vigne...Epidauro ricca di vigneti..."

Omero nomina anche Pramno, terra famosa per il suo vino, che venne mescolato a droghe e offerto dalla maga Circe ai compagni di Odisseo per allettarli, prima trasformarli in porci: "Per loro mescolava formaggio e farina d'orzo e miele verde con vino di Pramno." (Odissea X, 233-234).

Il vino di Lemno viene invece dato in premio agli Achei per aver costruito in breve tempo il grande muro utilizzato in difesa dei Troiani: "Erano là a riva molte navi, venivano da Lemno con un carico di vino. Le inviava Euneo... A parte poi, per gli Atridi Agamennone e Menelao, aveva mandato mille misure di vino." (Iliade VII, 467-471).

Omero narra poi dell'isola di Ogigia dove Odisseo visse per sette anni con la ninfa Calipso, racconta come fra la rigogliosa vegetazione di ontani, pioppi e cipressi profumati "si stendeva vigorosa con i suoi tralci intorno alla grotta profonda la vite domestica: era tutta carica di grappoli." (Odissea V, 68-69). 

Anche ad Itaca per quanto aspra e non molto vasta possa essere quella terra, "vi è frumento in abbondanza, vi è vino." (Odissea XIII, 244).

Questo fatto è stato reso possibile soprattutto grazie alla popolare cultura estimatrice del bere dei greci e anche grazie al clima delle isole Egee, favorevole alla produzione di vini pregiati.

I viticoltori greci non adottavano forme d'allevamento a pergola, come facevano invece gli egizi o come venne poi fatto in Italia. In Grecia le viti erano lasciate libere di scorrere sul suolo, protetto con materiali vari (rami o stuoie) per evitare il contatto diretto del frutto con il terreno. Questo sistema era sicuramente meno costoso dal punto di vista economico, ma richiedeva un numero elevato di unità lavorative per la lavorazione del suolo.

Nella stagione estiva uomini e donne si riunivano nelle vigne per diradare il fogliame, allo scopo di diminuire la traspirazione e per far sì che la luce penetrasse più a fondo favorendo la maturazione dei frutti; quindi un maggior tenore zuccherino, favorevole alla vinificazione.

La vendemmia solitamente avveniva nella metà di settembre. Riempite le ceste di uva, questa veniva portata alla pigiatura, eseguita in conche di legno d'acacia stagionato o in muratura leggermente inclinate per favorire la colatura del mosto. Una parte del mosto veniva consumata subito, dopo aver subito leggere aggiunte d'aceto, mentre la quasi totalità di questo era destinato alla vinificazione. Il mosto veniva inviato alle cantine dove avveniva la fermentazione in grandi vasi terra cotta (3,5 metri di altezza e un'apertura di un metro), detti pithoi. Per ridurre la traspirazione, i pithoi venivano interrati profondamente e cosparsi esternamente di resina e pece. Questa tecnica conferiva al vino un aroma particolare, che si riscontra tuttora nel vino resinato greco.

Dopo sei mesi di permanenza nei pithoi, si procedeva alla filtrazione ed al travaso del vino in otri o anfore di terracotta appuntite per permettere la decantazione di eventuale deposito e successivamente commerciato.

Ne "Le opere e i giorni", Esiodo scrive invece, che la vendemmia veniva effettuata all'inizio d'ottobre (quando Orione e Sirio si levano a metà della notte ed Arturo appare al mattino) e che l'uva veniva dapprima esposta al sole per permettere un calo del tenore di umidità ed un aumento del grado zuccherino ( in modo da ottenere con la fermentazione un alto tenore di alcool) e successivamente pigiata.